Pro Loco di Belvì



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Il paese



"Difeso e sollevato dai suoi monti" (cit. De Villa), il paese è circondato da due diversi tipi di montagna: ad ovest si trova la fine del lungo braccio calcareo dei tacchi, i cosiddetti "Tonneri" o "Mezeddos"; ad est del paese si erge la catena Gennargentu, rocce composte da scisti molto antichi, fino ad arrivare alla vetta di punta La Marmora con i suoi 1834 metri s.l.m..

Il suo territorio si estende per circa 1.889 ettari di declivi montani che diversificano la flora a seconda dell'altitudine e delle condizioni climatiche differenti. All'interno possiamo distinguere folti boschi di nòccioli, noci, castagni, roverella, lecci e agrifogli. Merita di essere menzionata anche la bella Valle de S'Iscara, che prende il nome dal rio che la attraversa, ricca di frutteti, interessanti essenze arboree e noci secolari conserva ancora oggi scorci di grande suggestione.

L'abitato si trova nella costa del monte "Genna de Crobu". Belvì si colloca in una posizione centrale rispetto alle città più importanti della Sardegna, in quanto dista 69 chilometri da Nuoro, il capoluogo di provincia, 71 chilometri da Oristano, 151 chilometri da Sassari e 119 da Cagliari, il capoluogo di regione.

Il territorio di Belvì conserva interessanti testimonianze del passato. Oltre a diversi utensili e ceramiche che risalgono ad un periodo che va dal Neolitico all'epoca romanica, attestando quindi la presenza dell'uomo nell'area già da tempi molto antichi, numerose nei boschi che circondano il paese sono le domus de janas (case delle streghe o delle fate).

Appartenente al Giudicato d'Arborea, fece inizialmente parte della Curatoria della Barbagia di Meana e nel XIV secolo fu unito alla curatoria del Mandrolisai.

Nel 1388 Belvì passò sotto il dominio aragonese ed entrò a far parte della Signoria della Barbagia di Belvì fino al 1839, anno in cui fu riscattato.

Per molto tempo il centro abitato di Belvì è stato poco esteso: le case erano anticamente costruite con pietre di scisto legate per lo più con fango, nonostante Belvì avesse una produzione non indifferente di calce, esportata in grandi quantità. Quasi tutte erano prive di cortile, ma erano dotate di un ballatoio di legno e piccole finestre. Le strade, tipiche della montagna, erano strette e tortuose, irregolarmente lastricate e con ciottolate ricavate dai sentieri e dai residui delle fornaci della calce di “Intra montes” o dal letto asciutto del rio S'Isca. Gli unici fabbricati di spicco erano la chiesa parrocchiale, istituita in onore di Sant'Agostino, la chiesetta di San Sebastiano e la stazione ferroviaria.

Nel 1834 Vittorio Angius, nel suo resoconto di viaggio (Dizionario geografico-storico.-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna), descriveva così Belvì:

“Per la varietà di fruttiferi, per le numerose specie di alberi e di erbe che vestono le pendici ed il fondo, per la degradazione dei colori e la loro diversità, per la meravigliosa forza che ha la vegetazione, e dal suolo e dal cielo offresi all'occhio come la delizia di una bellissima e pittoresca prospettiva.”

Nel 1921, nel suo libro “Mare e Sardegna”, David H. Lawrence raccontava così la sua esperienza lungo i binari percorsi dal Trenino Verde:
“È una strana ferrovia, sfreccia per le colline e giù per le valli attorno a curve improvvise, con la massima noncuranza.”







 

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